Immagini crude, drammatiche, che richiamano alla memoria atrocità di un recente passato che tutti – anche le nuove generazioni – vogliono cancellare, dimenticare. Corpi ammassati senza più dignità, come “sardine in scatola”, senza pudore e intimità.
Sono i “nuovi lager” quelli si cui tutti tacciono e dei quali nessuno parla, per timore oppure codardia o chissà per quale altro motivo; quelli a pochi kilometri dalle nostre coste, dove vengono ammassati esseri umani come “carne da macello” migliaia di poveri uomini e di donne in cerca solamente di un futuro migliore per loro ed i loro figli.
Sono i lager libici dei quali nessun giornale o tv dà notizia: piccole stanze, meglio definirle vere e proprie celle, nelle quali vengono stipati i copri denutriti e moribondi dei “malfattori”, ovvero di coloro il cui unico peccato è quello di voler fuggire dalla guerra, dalla diatribe tra clan ed etnie differenti, dai problemi della fame, della malnutrizione, dei diritti negati, che attanagliano e soffocano l’ antico Continente, depredato e sfruttato.
Nuovi “nazisti come nuovi sono gli “ebrei” perseguitati : è la storia che inesorabile si ripete, ancora una volta, per offendere e ferire l’ umanità, oggi come ieri indifferente e silente di fronte a tali atrocità.
Ad alzare ancora una volta la voce, è il nostro Presidente Don Beniamino Sacco, che non teme di far arrivare il suo pensiero libero ed indipendente, slegato da vincoli o apparentamenti e per questo genuino e credibile.
Una breve, intensa e profonda riflessione, che scuote – come sempre –dal torpore dell’indifferenza, dell’apatia e dalla narcotizzazione delle coscienze.
Dice Don Beniamino: “Libia: carne ammassata alla rinfusa. Non ci si crede, non ci si vuol credere. Occhio che non vede, cuore che non duole. Tutti sanno dei lager presenti dall’altra sponda del Mediterraneo, a poche centinaia di km da casa nostra. Una vergogna che in tanti cercano di mimetizzare o addirittura di negarne l’esistenza. Ciò avviene quando si perde il ben dell’ intelletto. Caino, dov’è tuo fratello Abele”