Le porte della chiesa dello Spirito Santo di Vittoria, in provincia di Ragusa, sono da sempre aperte. Qui, don Beniamino Sacco, oltre 46 anni di sacerdozio, ha fatto dell’accoglienza il motore della sua comunità: «Accogliere il prossimo è il principio più importante del cristianesimo di cui noi siamo annunciatori e portatori», spiega.
Da quando nel 1990 ha preso in mano la piccola parrocchia siciliana di 4mila anime, non ha mai smesso di lottare al fianco degli ultimi e degli emarginati, diventando uno di quei parroci di frontiera che papa Francesco ama e ammira. Schietto come i sacerdoti di un tempo, anche se ha superato i 70 anni continua a combattere lo sfruttamento sul lavoro, la violenza sessuale e gli aborti sospetti subiti da giovani migranti rumene impiegate nelle serre.
Ma il lavoro di don Beniamino non si ferma qui: da oltre 25 anni è impegnato a dare ristoro alle sofferenze dei migranti. A spingerlo in questo cammino è l’amore verso Gesù: «La Chiesa deve essere capace di accogliere e di inglobare, deve diventare esperienza, proprio come dice Francesco. Deve essere una Chiesa che non si pone sul pulpito ma che diventa, invece, ospedale da campo», racconta.
Nella sua strada, don Beniamino ha soccorso oltre 20mila migranti provenienti dalla Tunisia, dall’Egitto, dal Marocco, dal Senegal, dalla Cina e da tante altre nazioni. Un flusso di uomini che lo ha spinto a creare un vero centro di accoglienza, chiamato “Il buon samaritano”. Circa 140 persone ogni giorno vengono alloggiate e nutrite (2mila in tutto quelle soccorse), comprese donne e bambini. Tutto è cominciato da un magazzino usato come dormitorio. Nel corso del tempo sono state realizzate le stanze, lo spazio per il pranzo, i servizi igienici, un cortile con le panchine e un campetto sportivo. Oggi anche con un’azienda agricola.
Nel centro, Don Beniamino punta molto sulla formazione, creando corsi per cuoco e pizzaiolo, corsi per potatori e designer, ma anche di italiano e informatica. Tutto per costruire la convivenza: «Accogliere vuol dire amare ma anche mettersi in discussione, per questo sono orgoglioso della mia comunità», spiega.
di Giuseppe Tetto